Cosa sono?

Gli amori impossibili sono spesso quelli del: “Se solo… allora sarebbe perfetto”. Sono quelli che tagliano la realtà a pezzetti, poi prendono uno di questi pezzi e lo trasformano in un tutto potenziale, come se il resto, l’elemento che li rende impossibili, fosse semplicemente un accessorio. L’accessorio potrebbe allora essere il marito o la moglie di qualcuno che vorremmo, ma che non è libero o una parte del carattere che quando non si manifesta si sta così bene insieme. A volte invece è il semplice fatto di non essere corrisposti, che molte volte ci giunge come crema che trabocca da una pentola attraverso mille segnali che ci ostiniamo a non vedere, a leggere altrimenti, a mettere in un sacchetto nel ripostiglio per evitare il doloroso confronto con la realtà.

Gli amori impossibili sono quelli che non hanno una storia o ce l’hanno a metà, allora nel rimanervi aggrappati ne scriviamo noi una tutta intera, dando alle cose i nomi che riusciamo a tollerare o quelli che vorremmo, sacrificando così bocconi di vita e di sguardo al bisogno di restare in quel limbo che non muta o nell’illusione che muterà. Questo fa dolere l’anima oltre misura, invade la mente e si infila in tutti gli interstizi della quotidianità. Quello che genera è una sofferenza che spesso diventa parte della nostra identità, insieme a un sentire acuto che, in qualche modo nascosto, culla delle parti di noi: così accade quando una forza misteriosa al nostro interno preferisce un dolore conosciuto al lasciare andare che può condurre al cambiamento.

Quel dolore diventa un compagno scomodo di cui però conosciamo ogni ruga e tra le sue pieghe ci rifugiamo con l’idea che là fuori null’altro ci sia per cui valga la pena aprire il cuore.

Come funzionano gli amori impossibili?

Gli amori impossibili germogliano sul terreno dell’idealizzazione: l’altro diventa lo scrigno in cui sono custoditi i tesori più preziosi, la pasta madre della parte migliore di noi, l’unico in grado di farci sentire in quel modo speciale. Perdiamo di vista il nostro contributo alla relazione perché è dalle mani dell’altro che si libera la polvere d’oro che tutto incanta e che fa risplendere anche noi. Non ne vediamo i limiti e quando li vediamo eccoli diventare piccolissimi, trascurabili, anche quando il limite più grosso è la mancanza di reciprocità, ingrediente senza il quale nessuna storia può esistere.

Niente come un amore impossibile ci porta a mutare le dimensioni e i significati delle cose, così anche la reciprocità, che per definizione è un concetto stabile che c’è o non c’è, può essere porzionata come una torta ed esistere nel tempo passato con l’altro per poi sparire insieme alla possibilità di futuro quando lui o lei conduce la sua vita altrove. E se di torta non ce n’è neanche una fetta perché l’altro non è interessato, noi ipotechiamo il futuro dicendoci che prima o poi capirà, la lascerà, cambierà idea. E quando l’anima è avviluppata in un assoluto inconfutabile nulla può reggere il confronto, le altre possibilità non esistono, si perdono nella loro imperfezione di cose che si trascinano come tutti il loro zaino di mancanze, le loro calze bucate, la loro dose innegabile di realtà.

Che poi forse questo vedere l’altro così speciale fa brillare anche noi di luce riflessa, noi che in quei momenti mettiamo il nostro diritto di esistenza nei suoi occhi e se quegli occhi non ci vedono ci sembra di non esserci più.

Cosa raccontano gli amori impossibili?

Gli amori impossibili spesso sono una fuga dall’amore o almeno da quello maturo e reale, perché di fatto ciò che generano è l’impossibilità dell’amore, il prendere briciole vissute o immaginate, rimanendo così a distanza dall’incontro con l’altro nella sua (e nella nostra) talvolta scomoda interezza.

Questi coinvolgimenti spesso molto intensi ci alimentano con le loro scosse di adrenalina, esasperano il desiderio con la loro irraggiungibilità, ci seducono con incursioni articolate nei sentieri dell’illusione, dove tutto è possibile forse proprio perché nulla lo è.

Si agganciano alle narrazioni infantili sull’anima gemella, sull’altra metà perfetta della mela che si incontra una sola volta nella vita perché una sola ne esiste. Non lo si dice e talvolta non lo si sa, ma anche la sofferenza crea dipendenza, sussurra alle parti di noi che fanno fatica e che maggiormente resistono al cambiamento quello vero, alimentando le fantasie onnipotenti in cui noi cambiamo il mondo fantastico in cui ci siamo abituati a rifugiarci.

Lasciare andare tutto questo significa essere pronti ad abitare un mondo in cui la legge dei rapporti non è l’idealità ma l’ambivalenza, uscendo dalla dimensione archetipica delle fiabe fatte di principi azzurri buoni e di streghe cattive. Significa essere pronti ad atterrare in un mondo permeato dai grigi con cui tutti dobbiamo fare i conti se scegliamo di togliere gli occhiali colorati che spartiscono le fazioni e esasperano gli opposti.

Che alcune parti di noi siano rimaste lì non è una colpa, che il dolore diventi una scomoda ma rassicurante certezza non fa di noi persone poco desiderabili, quello che facciamo non è un tracciato che ci si può imporre dall’oggi al domani seguendo i meme che inneggiano al lasciare andare come fosse mangiar caramelle.

Come uscirne?

Una buona domanda da porci quando rimaniamo incastrati in queste situazioni è chi stiamo cercando di convincere del nostro essere meritevoli di amore, da chi desideriamo davvero essere visti. Perché le relazioni di oggi sono spesso il tentativo di cambiare la storia, quella che sta nel passato e di cui magari non abbiamo consapevolezza. Lì non ci siamo riusciti, così speriamo di farcela nel presente, perché forse non abbiamo mai smesso di vederci come eravamo allora.

Certo, comprendere la nostra storia non basta a a cambiare le cose, ma è un primo passo che aiuta a entrare in contatto con i bisogni profondi che muovono le nostre azioni in modo inconscio.
Spesso per fare questo occorre un aiuto, perché quando tendiamo a farci agire dalla nostra coazione a ripetere, sono in campo forze che esulano dalla nostra volontà.

Bisognerà prendersi cura del rapporto con il limite e con l’illusione e ricostruire un granello alla volta lo sguardo unitario che poggia i piedi a terra e restituisce all’oggetto idealizzato il suo portato di umanità, tirando fuori dal ripostiglio il sacchetto con tutte le cose che non riuscivamo a vedere o che vedevamo e facevamo piccole per non permettere loro di smontare il nostro castello di carta.

Dovremo ricostruire per noi la possibilità di pensarci come esseri capaci di reggerci sulle nostre gambe, per quanto all’inizio saranno traballanti e insicure, e di sapere l’amore come cosa che dà e non come cosa che toglie a cui correre dietro nei sentieri dell’immaginato. Sembra difficile e di certo lo è: la fattibilità risiede nella spinta che abbiamo ad abbandonare il dolore e le altalene interne, in favore di qualcosa di nuovo che veda cambiare noi e la capacità delle nostre mani di costruire.

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