

Diversi anni fa ebbi una discussione piuttosto accesa con una collega più giovane che sosteneva di essere molto aperta rispetto alle terapie via Skype, perché facevano risparmiare tempo ai pazienti. All’epoca, prima della metamorfosi junghiana che mi ha portata a mettere in dubbio tante delle certezze che avevo, faticavo ad accettare questa motivazione. Ero legata a una visione molto ortodossa del mio lavoro e ritenevo che anche prendere il giusto tempo per andare a fare la propria seduta facesse parte dell’investimento che si fa su di sé e del valore che si attribuisce al percorso che si intraprende.
Poi il mondo è cambiato e soprattutto sono cambiata io.
Tuttora penso che vivere la terapia solo come un ritaglio di tempo da incastrare alla bell’e meglio tra mille altri impegni possa togliere qualcosa a uno spazio che merita cura e pensiero, ma ho scoperto quanto lavorare online possa essere prezioso e quanto io senta affine questa modalità al mio modo di essere, così aver avuto in questi mesi la possibilità di avviare percorsi con persone che abitano in tutta Italia o che si trovano all’estero è stata un’esperienza che mi ha fatto nascere il desiderio di orientarmi sempre più in direzione di una ‘tana volante’.
Certo ci sono tanti aspetti da considerare:
- Il corpo non è lì, le vibrazioni che emana arrivano filtrate dallo schermo e forse a volte si smarriscono, così come i piccoli segnali non verbali che rischiano di sfuggire. Questo mi fa pensare a quanto sia importante affinare la capacità di ‘sentire’ l’altro, di leggerlo nonostante la distanza. Allora si colgono le variazioni del colore della pelle, gli occhi che diventano lucidi, la gola che deglutisce più forte e si impara a chiedere se ciò che si scorge c’è davvero e a farsi aiutare ancor di più dall’altro a co-costruire quello stare insieme che è la matrice del cambiamento.
- Il silenzio pesa di più, nel lavoro online si è più portati a riempire, a saturare, come se il tempo fermo pesasse il doppio. Allora ci si osserva e ci si interroga sulla nostra fatica a stare con quel vuoto di parola che in presenza assume sfumature che a distanza sono difficili da vedere.
- L’intimità si colora in modo nuovo, acquista orizzonti diversi. In studio c’è quell’aprire la porta, quel camminare insieme verso il divano che accorcia le distanze, quel salutarsi sulla soglia sapendo l’altro lungo strade conosciute. Online si entra nella casa dell’altro, si vedono i suoi animali, a volte un bimbo fa capolino, si è nello spazio privato non solo interno ma esterno e lo sguardo arriva dove di solito non può spingersi. Allora si deve imparare a immaginare l’altro insieme a tutti questi elementi, nel grande rispetto per quelle dimensioni così riservate che si schiudono ai nostri occhi.
- La tutela del setting non è più solo compito del terapeuta, che offrendo il suo studio predispone per l’altro un contenitore sicuro e protetto: online il paziente deve costruire quell’ambiente sicuro da solo, è chiamato a disegnare il proprio spazio, a tutelarlo e questo non per tutti è scontato, immediato, possibile, ma può essere un allenamento importante che quando ci sono fatiche sui confini passa progressivamente da protezione dello spazio esterno a protezione di quello interno.
Oltre a tutto questo ci sono i tratti di personalità, che per alcune persone possono rendere la mediazione dello schermo molto difficile da sostenere o al contrario particolarmente agevole. Nella mia esperienza da paziente online e da psicologa online posso dire che i momenti di commozione e di profonda vicinanza non si perdono, che l’altro si sente intensamente anche attraverso un pc e che forse adesso che la ricerca ci ha confermato che l’efficacia dei due metodi è equivalente, possiamo davvero scegliere in base a ciò che sentiamo nel profondo e al/alla professionista che ci fa risuonare dentro corde buone.
**Photo by Myrto Photography**

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