Quando accolgo una persona per l’inizio di un percorso, mi accorgo che spesso tra i primi pensieri che condivide c’è un forte giudizio su di sé e sui propri vissuti, con l’idea che avrebbe dovuto capire prima, agire diversamente, essere altro. Io parto invece dal presupposto che la nostra anima in ogni momento della vita fa sempre il meglio che può con quello che ha e che quindi qualunque cosa abbiamo fatto o sentito non sarebbe potuta essere che così. La nostra anima ci protegge da mali peggiori, ci difende anche quando non riusciamo a capire perché ci spinge verso direzioni che ad un certo punto ci fanno soffrire.

Dove sta l’inghippo? Perché se stiamo male, è naturale pensare che qualcosa non sia andato per il verso giusto. Il problema potrebbe essere spiegato così: quando un meccanismo di difesa prende vita, è perché ne abbiamo bisogno. In quel momento ci serve per sopravvivere e la mente lo utilizza a proposito: le serve, se no usciremmo da quella situazione con le ossa rotte. Quando la situazione si modifica però, perché passa il tempo e noi cresciamo e cambiamo, non è scontato che quelle difese che abbiamo messo in campo si spengano naturalmente. Anzi spesso accade il contrario: rimangono attive o allertate, pronte a entrare in funzione non appena le nostre antenne captano dei segnali che ci riportano al tempo in cui sono nate.

Così soffriamo, perché restiamo intrappolati in modi di stare nel mondo che se prima erano indispensabili, adesso ci tengono ancorati al passato e non ci servono più. Accade allora che se per esempio siamo cresciuti in un contesto in cui ai nostri bisogni non è stato dato valore e gli altri si sono messi sempre al primo posto, è molto probabile che in quella parte nascosta e profonda della mente che conserva i ricordi senza parole, noi abbiamo depositato l’idea che quando una relazione si fa più stretta i nostri bisogni saranno in pericolo. Così, a prescindere da chi abbiamo davanti, li sacrificheremo noi per primi o manterremo sempre una distanza di sicurezza per proteggere quel nucleo interiore già molte volte ignorato.

Capire che dentro al nostro modo di reagire ci sono infiniti mondi è il primo passo per trasformare il giudizio spesso senza appello che riserviamo a noi stessi in curiosità. In un percorso terapeutico è un passaggio fondamentale, ma lo è anche in ogni storia di vita. Darsi il beneficio del dubbio e iniziare a generare interrogativi è un modo molto potente di prendersi cura di sé. Allora il nostro essere nel mondo può diventare una ricerca interiore che abbraccia tutto ciò che accade nel corpo, nel cuore e nella mente con quella epochè di cui parlavano i fenomenologi, la sospensione del giudizio che fa spazio alla domanda. E quando arriva la domanda, le nostre antenne iniziano a sensibilizzarsi ai piccoli indizi che arrivano nei sogni, nelle reazioni emotive e in quelle fisiche, gli aiuti più preziosi per capirci di più e trattarci con quella cura amorevole che di solito riserviamo solo agli altri. 

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