

Cosa avrà da raccontarci una storia così antica su un tema tanto vicino a noi come quello della dipendenza affettiva e del narcisismo? Direi moltissimo, come tutte le narrazioni archetipiche.
Ho letto cose poco condivisibili sui social media e visto video al limite tra il ridicolo e il crudele che promettono a vittime in balia di carnefici ricette per fuggire, sconfiggere, vendicarsi del narcisista e chiudere la relazione con lui, nell’ottica illusoria della formula magica e della pura razionalità.
Eco e i suoi invisibili compagni del passato ci raccontano una versione differente, che merita di essere ascoltata.
Eco era una ninfa con una meravigliosa parlantina: riusciva a incantare tutti con i suoi discorsi e utilizzava questa capacità anche per distrarre Giunone mentre Giove la tradiva. Giunone se ne accorse e la punì condannandola a poter parlare solo dopo che qualcun altro avesse iniziato il discorso, ripetendo le sue ultime parole.
Quando Eco si innamorò di Narciso e iniziò a seguirlo, venne da lui prima invitata a mostrarsi e poi rifiutata con crudeltà. Questo rifiuto accese ancora di più il suo desiderio, che diventò il fuoco che la consumò dall’interno. Si nascose nel bosco finché il suo corpo non si seccò: le sue ossa divennero sassi e di lei rimase solo la voce, che sentiamo anche oggi quando parliamo forte in luoghi sperduti.
Ci sono tre caratteristiche importanti che possiamo osservare:
- A Eco manca la capacità di fare un discorso che sia solo suo. Non può parlare senza l’altro, non può raccontare di sé: quando ci manca la possibilità di narrarci, la nostra identità rimane molto fragile, non sappiamo chi siamo e possiamo sopravvivere solo se troviamo qualcuno a cui appoggiarci. Il mondo appassionato e ricco di emozioni che hanno dentro le persone con una dipendenza affettiva ha bisogno del soffio vitale dell’altro per accendersi. Se questo non c’è, diventa un mondo spento, mancante, un universo nei toni del grigio. Per questo chi ha una dipendenza affettiva non può fare a meno di parlare dell’altro, anche se lo fa con odio e con rabbia: perché è l’unico tramite che ha per parlare di sé.
- Eco perde la voce perché spreca il suo talento: lo mette a disposizione di due genitori simbolici che al posto che valorizzarlo, lo sfruttano. Si fa coinvolgere in una dinamica più grande di lei nel tentativo di accontentare un padre che non la ama e facendo arrabbiare una madre che non la perdona. Ma non è Giunone che Eco ha tradito, bensì se stessa.
Il primo insegnamento che ha fatto suo è che amare significa sacrificare qualcosa di proprio per le necessità dell’altro, un altro che non la difende e che non si prende cura di lei.
- Eco perde il suo corpo. Lo trascura al punto da non farlo esistere più. Quando si soffre di una dipendenza affettiva si vive con la mente intasata dalle fantasie di perdita e con il cuore in allarme. Questo stato è stressante per tutta la sostanza che siamo e anche se non ci si trova a subire maltrattamenti fisici, le ossa possono ugualmente farsi pietra. Essere costantemente sintonizzati sui bisogni degli altri, mozza le antenne capaci di intercettare i propri.
Qual è l’emozione che sta dietro a tutto questo? Una terribile paura della solitudine.
Il ritiro solitario nel bosco per Eco equivale alla morte. La capacità di stare soli non è innata, si costruisce un passetto dopo l’altro nei primi tre anni di vita. O più tardi, con qualcuno che ci accompagna nel duro lavoro di capire chi sentiamo di essere veramente.
E Narciso? Qui c’è anche la sua storia.
Un libro interessante in cui trovare queste riflessioni: Dipendenza e controdipendenza affettiva: dalle passioni scriteriate all’indifferenza muta di M. Borgioni
Un film: Il diario di Bridget Jones

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