[Questo post non si riferisce alle prese di posizione connesse al rifiuto dell’uso della mascherina con motivazioni di stampo negazionista o complottista, che meritano una trattazione a parte.]

A fine estate mi sono trovata mio malgrado ad andare in alcuni grandi negozi per comprare oggetti per lo studio. Dico mio malgrado perché i luoghi affollati e pieni di stimoli mi generano un senso di sopraffazione e mi stancano molto. 

Già di umore piuttosto scontento, mi sono messa ad osservare come le persone si comportavano rispetto alle norme di sicurezza e ho notato che un buon venti per cento dei miei compagni di vagabondaggio per scaffali indossava la mascherina a metà o la teneva sotto al mento, giusto per rappresentanza. 

Come prima reazione mi sono arrabbiata, ho pensato che fossero degli irresponsabili, li ho mentalmente accusati di non riuscire a considerare che i loro meccanismi onnipotenti di negazione di un pezzo di realtà potevano danneggiare anche me. Poi si è destata la curiosità per le ragioni psichiche del comportamento umano e mi sono messa a riflettere.

Nella vita siamo tutti mascherati. Jung ha chiamato Persona l’archetipo legato alla nostra identità sociale, proprio come la maschera degli attori del teatro greco, così vistosa e caratterizzante da far capire subito chi fosse il personaggio che la indossava. Tutti ne portiamo una, anzi più di una, perché al lavoro, sui social, con gli amici mostriamo di volta in volta parti diverse di noi. Questa non è di per sé falsità, la Persona è una cornea tra la nostra anima e il mondo. Non in tutte le circostanze possiamo o dobbiamo esporre ogni aspetto di noi: ci sono cose che è importante proteggere. Il problema nasce quando la maschera si incolla alla faccia, diventa rigida e ci preclude l’accesso al mondo interiore. 

Quando ci convinciamo che siamo solo quella cosa lì e non altro. Quando passiamo troppo tempo a lucidarla e ci dimentichiamo di curare quello che sta sotto, perché il giudizio esterno è troppo importante.

Questo non accade solo quando ci hanno lasciato intendere per tutta la vita che non valiamo abbastanza, ma anche quando ci sono state sottolineate troppo spesso le risorse che abbiamo. 

Immaginiamo di essere stati bambini molto intelligenti. Ce lo hanno ripetuto in tutte le salse, ci hanno presentato e raccontato agli altri non lesinando riconoscimenti per le nostre qualità cognitive, ci hanno fatti sentire importanti per questo e noi ci siamo convinti di dover aderire a quel personaggio, mettendo in un cassetto il resto di noi: il corpo, l’affettività, gli slanci di ribellione. Da questo possiamo capire quanto la Persona è profondamente connessa alla nostra interiorità: è l’involucro esterno della nostra anima.

 Adesso le prassi ci dicono che dobbiamo indossare una maschera diversa, concreta, che ci imbavaglia dal mento agli occhi.

Possiamo sentirci come se qualcuno stesse cercando di tapparci la bocca o
costretti come bambini da un’autorità che decide per noi. Se con l’autorità abbiamo qualche problema, ecco che la mascherina scivola un po’ giù.

Possiamo percepirla inconsciamente come il rappresentante simbolico della gravità della situazione e siccome la gravità ha un peso troppo grande per le nostre spalle mentali, la neghiamo: la mascherina non ci serve, figuriamoci se prendiamo il virus proprio qui, proprio adesso.

Possiamo viverla come un modo forzato di uniformarci e così nascono tutte le varianti decorate di un oggetto antico come l’uomo (le maschere erano già rappresentate nelle pitture rupestri).

Qualcuno invece potrebbe stare bene nascosto lì dietropotrebbe entrare in contatto più profondo con se stesso, perché meno impegnato ad approntare una mimica facciale adatta alla circostanza.

Quali che siano le reazioni, questa dimensione non ci lascia indifferenti, perché tocca un tema atavico, archetipico, che ruota intorno al dentro e al fuori, allo svelare e al nascondere, al vero e al falso, al riconoscersi, che riguarda tutti. Forse farci una riflessione che non si fermi al senso di fastidio fisico che ci dà indossarla, può esserci d’aiuto.

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