

Ciascuno di noi desidera essere speciale per l’altro, sapere che occupa un posto particolare nel suo cuore. Questo vale nella vita come nella terapia, che è il luogo in cui riproponiamo il nostro modo di stare nel mondo e nelle relazioni, dandoci però la possibilità di rifletterci insieme alla persona che abbiamo scelto per condividere il viaggio.
I più piccoli lo mostrano senza vergogna quando mi chiedono: “Ma qui vengono anche altri bambini?”. Ne scorgono le tracce, perché sanno che alcuni di loro hanno una scatola da decorare in cui riporre tutti i disegni e le sculture fatti insieme. Altre volte lo intuiscono perché trovano i giochi messi in modo diverso da come ricordavano. Quello che cerco di far capire loro è che sì, ci sono altri bambini, ma ciascuno è unico e la stanza interna che occupa dentro di me non è replicabile.
Con i grandi è più difficile parlare esplicitamente di queste cose, perché per alcuni comunicare il proprio bisogno di essere tenuti nella mente da qualcun altro significa scoprirsi troppo, entrare in contatto con una vulnerabilità che spaventa. Occorre tempo per poter avvicinare le parti più fragili. Quello che accade intanto però è che, anche se non lo si dice apertamente, quella relazione che costruiamo insieme incontro dopo incontro diventa unica per davvero. Come accade? Uno dei modi che mi è sempre sembrato affascinante è la creazione di un linguaggio speciale, che si intreccia con la lingua comune.
Questo linguaggio è fatto di immagini, parole, metafore che aiutano a rappresentare gli stati d’animo, a renderli più pensabili e allo stesso tempo più tridimensionali. A volte le etichette che abbiamo per dare un nome alle emozioni e ai vissuti ci vanno un po’ strette, così bisogna esplorare più a fondo, bisogna inventare. Jung scriveva nel Libro Rosso: “Parlo per immagini… per l’incapacità di trovare quelle parole”. Ecco allora che arrivano quei messaggeri che ci permettono di capire e di capirci. Dopo basta richiamare l’espressione che è nata nel dialogo, per comprendere al volo il vissuto a cui ci si riferisce, il clima emotivo di un certo avvenimento, il movimento interiore di quel giorno. A volte l’immagine arriva da me, a volte dall’altro, altre ancora si costruisce insieme e si modifica tentativo dopo tentativo.
Spesso quando rimango sola nella stanza, la penso popolarsi dei personaggi immaginari che sono transitati durante il giorno e a cui ho dato vita insieme ai miei pazienti. Possono essere animali, oggetti del quotidiano, creature mitologiche, protagonisti dei film o della letteratura. Mi richiamano subito alla memoria i volti delle persone con cui sono nati. La cosa meravigliosa è che non ce ne sono mai due uguali: due inconsci che si incontrano creano sempre qualcosa di irripetibile.
Inventare queste immagini significa riuscire a trasformare le proprie emozioni insieme all’altro. Ampliare il linguaggio con cui parlare della nostra psiche aumenta anche le reazioni possibili che abbiamo davanti agli eventi della vita e ci aiuta a uscire dalla tendenza ad incastrarci in schemi sempre uguali che si ripetono, a volte senza che nemmeno ce ne accorgiamo.
La creazione di questo vocabolario interiore avviene in un clima ricco di sfumature. Alcune persone pensano che la terapia sia un percorso pesante, doloroso e per certi versi lo è, perché andare in profondità significa confrontarsi con le proprie ombre, ma c’è molto di più.
Ci sono momenti in cui si ride insieme di cuore, in cui ci si commuove, in cui si impara anche la difficile arte della leggerezza, che come diceva Calvino è “planare sulle cose dall’alto”, senza avere macigni sul cuore. In questo le immagini che danno forma al nostro mondo inconscio e alle nostre emozioni sono di grandissimo aiuto.

Entra nella tana
La maggior parte dei miei percorsi è disponibile anche online. Trovi tutte le informazioni > qui <