Quando una coppia si forma non sono mai due sole entità ad entrare in contatto: ci sono due Io, ma anche due inconsci che iniziano a dialogare. Dentro gli inconsci abitano i bambini che i due innamorati sono stati, con i loro bisogni, i loro desideri e le loro emozioni, di cui c’è poca o nessuna consapevolezza.

Questo complica le cose, perché mentre sul piano cosciente dell’incontro le cose possono andare abbastanza lisce, gli inconsci spesso portano un po’ di scompiglio.

Ora i bambini interiori possono avere diverse rappresentazioni di cosa significa stare in relazione con l’altro: le hanno costruite fin da piccolissimi e le riattivano ogni volta che si trovano in un rapporto che diventa importante.

La teoria dell’attaccamento ce ne racconta 4 tipi, così dentro di noi sappiamo che può abitare:

  • un bambino sicuro, che sa di avere un valore e ha fiducia che l’altro c’è e ci sarà. Questo bambino permette all’adulto che lo porta dentro di coltivare la propria crescita personale e quella della coppia senza vivere questo come minaccia. Lascia spazio e morbidezza tra sé e l’altro, così che tutti i semi che arrivano da dentro e da fuori possano germogliare; 
  • un bambino evitante, che sente che è meglio non avere bisogni e non sentire le emozioni, perché tanto se chiede è convinto che l’altro non risponderà, quindi è meglio tenersi a distanza e congelare ogni cosa. Questo bambino porta l’adulto che lo ospita a chiudersi in sé, a evitare le discussioni e se avvengono a trincerarsi dietro un muro che viene scambiato per disinteresse, quando invece è un ritiro difensivo, ma che fa dire all’altro: “non mi rispondi, mi sembra di parlare da solo”;
  • un bambino ambivalente, che sente che l’altro c’è un po’ sì e un po’ no, quindi vive e manifesta le emozioni in modo forte, nella speranza di tenerlo vicino. In fondo è arrabbiato e spaventato perché vive l’eterna incertezza della relazione. Questo bambino abita un adulto che vive le relazioni con il bisogno di stare sempre insieme, di condividere tutto, perché il desiderio di autonomia dell’altro viene subito sentito come una forma di abbandono. Chiede continue rassicurazioni: “Ma tu mi ami? Non mi vuoi lasciare, vero?” e quando si discute vorrebbe confrontarsi all’infinito, perché se l’altro si tira via, arriva il terrore che il rapporto possa finire;
  • un bambino disorganizzato che rimbalza tra la vicinanza e il distacco in preda alla paura, perché l’altro lo spaventa, ma al contempo non può farne a meno. Questo è il bambino più sofferente, con le cicatrici più profonde, che da adulto oscillerà nelle relazioni rischiando di diventare molto respingente e molto controllante allo stesso tempo. In genere si porta nel bagaglio una storia traumatica difficile da elaborare. 

Comprendere com’è il nostro bambino interiore è il primo passo per accorgerci dei bisogni e delle emozioni che portiamo nelle coppie che costruiamo. Questo può aiutarci anche a capire perché a volte reagiamo in modo forte a ciò che l’altro fa, pur rendendoci conto che forse la nostra risposta è esagerata. Quando accade è il nostro bambino che si muove, si fa sentire, chiede di essere guardato. Prendercene cura significa in primo luogo imparare a conoscerlo.

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